Il design è politica.
Le organizzazioni danno forma al mondo.
La società, la cultura, l’economia e se vogliamo anche lo stesso contesto ambientale al tempo della globalizzazione antropocentrica, sono frutto della mescolanza fra ambienti fisici e digitali. Questi a loro volta sono composti di interfacce (norme, edifici, hardware, software, contesti di commercio, contesti di svago, ecc) che ci vengono somministrate e che limitano il nostro agire in base alla coerenza che possiamo o vogliamo mantenere con esse.
Tutti questi ambienti e le relative interfacce non sono il frutto casuale di un’emergenza, ma sono progettate per poter far si che le persone seguano un iter prestabilito al loro interno, e questo iter spesso porta alla creazione di un determinato output e dei sottoprodotti (risorse economiche, benessere, malessere, relazionalità, tempo, ecc).
Individui o collettività all’interno di organizzazioni abbastanza influenti (partiti politici, big tech, organizzazioni attiviste, circoscrizioni, enti di volontariato, ecc), progettano e rendono accessibili ad altre persone (o infliggono ad altri agenti) questi ambienti con le rispettive interfacce.
Queste si possono definire organizzazioni progettanti, e sono le entità che da sempre contribuiscono al mantenimento o al mutamento dello status quo, ma nel periodo storico attuale dove attraverso la tecnica, le reti a invarianza di scala hanno preso il posto delle curve a campana, sono ancora più influenti.
Dentro Ecosistemica in questo periodo abbiamo adottato questo framework per osservare la realtà, ovviamente, come ogni lente cognitiva, è solo solo una fra le infinite possibili. Non pretendiamo che sia esaustiva, né migliore delle altre.
Il nostro intento è assumerla per esplorare in maniera peculiare il contesto che ci circonda, mettendo al centro le organizzazioni e il loro modelli di design organizzativo come parte integrante del processo progettuale, culturale degli individui e quindi anche politico in senso ampio.
Perché, Come, Cosa
Dopo anni di lavoro, studio, attivismo, di appartenenza ad ogni tipologia di rete sociale possibile, dalla famiglia, al condominio, fino ai social network, abbiamo iniziato ad osservare che ci sono dei pattern piuttosto stabili nelle organizzazioni (ovviamente essendo il nostro ambito non lavorabile con metodologie esclusivamente quantitative, trattiamo con la leggerezza che merita questa affermazione).
Le organizzazioni progettanti per vivere rispondono in diversi modi a tre aree:
Perché esistiamo
Questa è l’area dello scopo o più precisamente della ragion d’essere.
Qui ci sono il purpose, la mission e la vision.
Il perché è una domanda vitale per un’organizzazione, ma non sempre ciò che viene esplicitato equivale alla realtà (questo non vale solo per il perché, il discorso fra implicito, esplicito e deviazione fra esplicito e praticato effettivamente meriterebbe un articolo a parte) citando Donella Meadows in “Pensare per Sistemi”:
Un sistema è un complesso di elementi (N.d.A. nodi) interconnessi (N.d.A. connessioni) tra loro, organizzato con coerenza per perseguire qualcosa (N.d.A. scopo).
Spesso la parte meno evidente di un sistema, la sua funzione o obiettivo, è il fattore che determina in misura maggiore il comportamento di un sistema.
La funzione di un sistema non è necessariamente espressa a parole.
Gli obiettivi si deducono dal comportamento, non dalla retorica o dagli scopi dichiarati.
Come ci organizziamo
Questa è l’area del design organizzativo che genera cicli di feedback in grado di plasmare e rinnovare la cultura condivisa in ottica autopoietica (se si intende l’organizzazione come agente) e simpoietica (se la si osserva come entità composta dall’insieme delle sue unità, umane o meno).
Qui ci sono struttura, flussi informativi, processi relazionali, metodi decisionali, creazione e gestione delle risorse.
È importante sempre osservare il Come ci organizziamo con uno sguardo sulle dimensioni individuali e collettive interne all’organizzazione, ma di quest’area fa parte anche la riflessione verso i Come mettiamo in campo collaborando esternamente.
Il Come è il luogo delle pratiche, dell’incorporamento individuale della cultura organizzativa (la sorella minore e decentralizzata dell’episteme o del paradigma), è il luogo dove l’identità reale dell’organizzazione traspare e si diffonde anche nelle aree del perché e del cosa. La postura di un’organizzazione e delle sue unità è il riscontro tangibile del suo scopo e di ciò che offre verso l’esterno.
Per usare un’altra schematizzazione di Donella Meadows, nel suo articolo sui punti leva per intervenire in un sistema, stiamo parlando soprattutto dei punti che vanno dal 7 al 12, quelli che lei reputa più impattanti (anche se nel Come vengono toccati quasi tutti i punti):
- Costanti, parametri, numeri (come i sussidi, le tasse, le norme);
- Le dimensioni dei buffer e altri stock stabilizzatori, rispetto ai loro flussi;
- La struttura del capitale e dei flussi materiali (come reti di trasporto, le fasce d’età della popolazione);
- I ritardi per quanto riguarda la velocità di cambiamento del sistema;
- Il potere dei circuiti di feedback negativi rispetto gli effetti che provano a contrastare
- Il guadagno dei circuiti di feedback positivi;
- La struttura dei flussi di informazione (chi ha e chi non ha accesso a qualunque tipo di informazione);
- Le regole del sistema (come incentivi,punizioni, vincoli);
- Il potere di aggiungere, cambiare, evolvere o auto-organizzare la struttura del sistema;
- Gli obiettivi del sistema;
- L’atteggiamento mentale o lo schema ideale – i suoi obiettivi, la struttura, le regole, i ritardi, i modelli – con cui il sistema si presenta;
- Il potere di andare al di là dei modelli.
Cosa realizziamo
Questa è l’area della creazione del valore verso l’esterno dell’organizzazione.
Qui ci sono i prodotti e i servizi che l’organizzazione genera e eroga verso l’esterno.
Questa area come le precedenti è fondamentale, un’organizzazione non può sussistere senza una delle tre.
In questo caso è importante disambiguare rispetto al modello del Golden Circle proposto da Simon Sinek: se infatti anche lui analizza le stesse aree – Cosa, Come e Perché – si riferisce, soprattutto nel “Come”, più specificatamente al “Come del Cosa”. Ovviamente ci sono molti Come per realizzare i propri prodotti o servizi, ma il Come che vorremmo analizzare si riferisce più direttamente al Come organizzativo, ovvero le strutture, i processi e i pattern che informano culturalmente, quindi a livello di pratiche condivise, gli output che le organizzazioni realizzano.
Come sono cambiate le domande dalla Versione 0 alla Versione 0.1
Un protocollo di design organizzativo
Il nostro lavoro come Ecosistemica consiste nell’aiutare le organizzazioni ad avere un miglior e maggior impatto sulla loro sfera d’azione, che sia ambientale, sociale o culturale, attraverso accompagnamenti mirati per lavorare sul Come. Per il momento, dimentichiamoci delle altre due aree, che rimangono fondamentali, ma che lasceremo approfondire da altre organizzazioni, sicuramente più competenti di noi.
Stiamo sperimentando questo framework da diversi mesi e abbiamo avuto modo, attraverso contesti dialogici e analitici, di formalizzare alcune domande che possono aiutare noi e altre organizzazioni ad approfondire il Come. Vorremmo che queste domande potessero essere parte di un modello di autovalutazione organizzativa dal quale far emergere intenti e pratiche di rinnovamento ed evoluzione, volte a generare organizzazioni rigenerative del contesto descritto nel primo paragrafo. L’obiettivo è quello di stimolare un lavoro consapevole e centrato sulle culture organizzative affinché si possano adottare modalità, pratiche e rituali che generino benessere interno e diffuso a cascata verso l’esterno.
Le sei macro domande che troverete successivamente hanno delle sotto categorie non esplicitate in questo articolo per motivi di lunghezza del testo; inoltre mantengono una molteplice possibilità interpretativa: è possibile quindi che più domande portino a delle stesse risposte e più risposte si possano trovare in diverse domande.È impossibile adottare un’ontologia lineare per lavorare su sistemi complessi come le organizzazioni.
Di seguito le domande della V0.1 del protocollo che stiamo sviluppando:
Come ci strutturiamo?
Questa domanda – per la versione attuale – è la prima in termini cronologici da porre ad un’organizzazione. La struttura organizzativa è sempre presente, anche se non formalizzata, anzi, meno è esplicitata e più è facile incorrere a strutture informali di dominio e controllo, una sorta di tirannia dell’assenza di struttura. Questa domanda serve a riflettere sulla propria struttura organizzativa piramidale, piatta, a cerchi annidati, ecc. Non ce n’è una più giusta e una più sbagliata: le strutture possono anche cambiare nel tempo, ma devono essere espressione dell’intenzione della governance e non lasciate al caso.
La struttura influenza i flussi informativi, la libertà decisionale e operativa, le relazioni informali, ed è quindi corretto progettarla con consapevolezza e intenzionalità.
La struttura e la cultura organizzativa vanno a braccetto e vanno calibrate, per tenere coeso un gruppo è importante che al diminuire dell’una si intensifichi la formalizzazione dell’altra.
Come partecipiamo?
Questa domanda racchiude al suo interno una grande quantità di tematiche, nasce dalla sintesi di tre domande della versione precedente:
- Come si partecipa?
- Come affrontiamo i conflitti interpersonali?
- Come stimoliamo le relazionalità?
Questa domanda quindi può essere utile ad avere contezza rispetto ai processi di ingresso ed uscita delle persone, alle modalità relazionali fra individui, al benessere individuale e collettivo, fino al corretto bilanciamento fra contesti formali e informali nell’organizzazione affinchè chi vive l’organizzazione possa farlo nella maniera più appropriata mediando fra i propri bisogni e quelli dell’organizzazione. Per rispondere a queste domande possono venirci in contro metodologie, come la comunicazione nonviolenta, ma anche i sistemi di buddy a supporto delle nuove arrivate o anche strumenti più tangibili come gli handbook.
Come decidiamo?
Chi decide chi decide? e come si decide come si decide? Spesso queste domande bloccano i flussi partecipativi in contesti più informali, mentre in organizzazioni più formalizzate a queste domande si risponde sempre in un modo: decide chi ricopre il rango più alto! La scarsa attenzione che viene data all’esplicitazione dei modelli decisionali, che siano assenso, consenso, delega, per maggioranza o in maniera centralizzata (solo per fare alcuni esempi, ne potete trovare altri qui), crea spesso frustrazione processi scarsamente efficaci.
Crediamo sia fondamentale prendersi del tempo per formalizzare e rendere esplicite quali modalità decisionali adottare prima di iniziare a lavorare insieme, ricordandoci che ogni politica o accordo può essere successivamente modificata, attraverso i giusti modi e tempi prestabiliti.
Come scambiamo informazioni?
Questa è l’area nella quale consentiamo a ciascuna partecipante o stakeholder della nostra organizzazione di accedere alla informazioni che cerca. Ogni organizzazione è un sistema, all’interno di ogni sistema ci sono flussi diversificati di materia, energia e informazioni che cambiano nel tempo e nello spazio.
Se le persone che fanno parte della nostra organizzazione non hanno contezza sul dove trovare qualcosa, o sul come generare qualcosa individualmente o collettivamente, allora possono crearsi disallineamento, stanchezza e frustrazione.
Questo è lo spazio dei sistemi di archiviazioni fisici e digitali, delle ontologie informative, ma anche della progettazione dei giusti touchpoint che possono indirizzare le partecipanti a trovare direttamente quello che cercano.
Come gestiamo le risorse?
Le risorse sono flussi poietici dei sistemi in generale e quindi delle organizzazioni. Qui si trovano risorse economiche, tempo, benessere, sapere, saper fare.
Anche se molte di queste risorse sono approfondite sotto altre domande è importante mantenere questa molteplice lente all’interno di quest’area per non dimenticare nulla.
Ovviamente le risorse economiche e la trasparenza o meno riguardo queste ultime è un tema importante se si vogliono adottare approcci decentralizzati e autoorganizzanti nelle organizzazioni.
A tal proposito, riflettendo a questa domanda si potrebbero implementare delle modalità di redistribuzione, o assumere il punto di vista di tutti gli agenti parte dell’organizzazione per allineare gli intenti e le necessità.
Come impariamo e ci evolviamo?
La cibernetica, soprattutto quella di secondo ordine ha dato un grande contributo alle teorie sull’evoluzione degli organismi e dei sistemi. Nell’ambito della progettazione, le informazioni dal passato al presente (feedback) e dal futuro al presente (feedforward) sono fondamentali per progettare con intenzionalità qualcosa che possa evolvere. Per questo motivo è fondamentale dare grande importanza a questa domanda. È necessario informare il presente individuale e collettivo, abbassando il rumore, progettando il giusto grado di ridondanza, per consentire al sistema di evolversi verso nuovi cicli. Ovviamente, con tutte le dovute differenze strutturali del caso, le organizzazioni non fanno eccezione.
Questa è l’area dei feedback intesi in termini di retrospettive (sull’organizzazione in generale, su un singolo progetto o su un periodo di tempo specifico) di performance review (che dentro Ecosistemica abbiamo iniziato a chiamare experience review).
Il processo generativo
Quanto riportato nel testo è la sintesi di un processo iniziato con una versione zero (V0) emersa lo scorso agosto e esplorata collettivamente attraverso un world cafè all’interno della RENA Summer School tenutasi a settembre 2024. In questo documento è possibile vedere i riassunti di quanto emerso dai tavoli di dialogo realizzati direttamente dalle persone che hanno facilitato i tavoli e che non ringrazieremo mai abbastanza. Le informazioni riportate in questa sintesi collettiva ci hanno dato la possibilità di modificare le domande (che inizialmente erano 10) e di poter far evolvere la versione. Abbiamo appena prototipato una V0.1 all’interno dell’assemblea Generale di RENA, nella quale abbiamo portato una presentazione con diversi casi studio per ciascuna delle domande. L’idea è quella di ispirare la formazione del nuovo direttivo anche attraverso ai Come organizzativi desiderati dalla base sociale.
Ora stiamo provando a prototipare nuovi momenti interattivi in altri lavori, consulenze e formazioni in giro per l’Italia e fra poco tempo rilasceremo la V1, più stabile, dalla quale emergeranno pratiche e strumenti (tra cui canvas e questionari).
È importante citare come fonte di ispirazione e di ulteriore riflessione il lavoro svolto insieme a Guglielmo Apolloni sui Rituali di Governance e il quello svolto sempre con lui, Francesca Maciocia e il team del gruppo C di Trento Capitale del Volontariato 2024 e CSV Trentino per l’evento Nell’Aria con il workshop Rivoluzione dei Processi Organizzativi.
Foto del workshop della summer school di RENA 2024
Prossimi passi
Stiamo continuando a sviluppare il modello di design organizzativo e ci piacerebbe farlo attraverso pratica e teoria. Un nostro grande desiderio sarebbe costruire un contesto aperto in cui trattare questo protocollo e quello che ne emergerà come se fosse codice open source, gestito da licenze creative commons CC BY SA, con le rispettive versioni, credits per chi ha contribuito, fork, un sistema di partnership sistemiche basato su organizzazioni amiche confederate che possano fare consulenza e formazione riguardo le domande e sottodomande sulle quali siamo meno ferrati, ecc.
Si tratta di un lavoro lungo, che richiederà molto tempo per raggiungere la sua massima formalizzazione, ma speriamo che questo lavoro possa essere utile a tante organizzazioni e persone che desiderano avere un impatto significativo nel proprio contesto. Speriamo di compiere questo viaggio con tante nuove e nuovi alleati per costruire un bene comune processuale, se volete contattarci, ci trovate qui.